Come promesso (e così anche la convalescente R è contenta) provo a buttar lì qualche esperienza e due pensieri disorganizzati circa la religiosità boliviana.

Il titolo già riassume metà della tesi che mi pare concentrabile per lo più, appunto, attorno al concetto di sincretismo religioso. La parentesi non si riferisce alla cosa in sé quanto invece alla reazione dell’occhio occidentale che cerca di accedervi per coglierne il mondo, il senso, la weltanschauung.

Wikipedia alla voce “religione” parla di un 75% di cattolici e sette protestanti in aumento. Vero, verissimo, almeno così ad occhio; anche solo girando per strada e facendo la conta dei minibus che riportano sul lunotto scritte inerenti al tema religioso. Tra le correnti confessionali di matrice protestante più rappresentate: avventisti (altresì detti sabadisti perché “fanno domenica” il sabato), evangelici, metodisti (ci sono anche gli instancabili testimoni di Geova). Sembra che l’adesione a queste correnti sia motivato, oltre che dal carisma e dalla furbizia dei pastori (facendo storcere il naso a qualcuno e riaffiorare ricordi a qualcun altro, potremmo chiamarlo marketing religioso), anche dal senso di “pulizia” che emana l’appartenenza (o di cui si fregiano gli adepti, creando il medesimo sentire comune). È infatti ormai risaputo che il boliviano medio non brilla di certo di sobrietà e che i suoi eccessi (anche solo quelli alcolici, coi loro successivi strascichi), in occasione delle numerose feste, sono quasi uno stile di vita. In chiara contrapposizione allo stile dell’eccesso e quindi con quest’aura di presunta sobrietà di matrice puritana tipica del protestantesimo, le altre correnti religiose cristiane proliferano, non creando certo panico negli ambienti cattolici, ma sicuramente facendo fare qualche riflessione. Tanto che la sintesi beffarda è: “quando abbiamo bisogno di spiritualità ci sono i protestanti, quando abbiamo bisogno di mangiare ci sono i cattolici”.

Il sincretismo tocca però qualsiasi confessione cristiana e, a fronte delle reazioni dei pastori cattolici che sono sotto i nostri occhi, sarebbe interessante capire come la pensano e come reagiscono quelli delle altre confessioni.

Il cristiano qui subisce il pesante influsso delle religioni incaiche precolombiane, ci sono un paio di articoli italianissimi che illuminano sulla situazione in generale, uno di Repubblica (grazie a R della segnalazione) e uno di Limes (quest’ultimo l’aspetto religioso lo sfiora solo, ma rende benissimo il contesto in cui anche la religiosità vive), quindi non mi dilungherò in teorie, ma in situazioni e qualche domanda.

Capita di vedere la gente che va a messa e si mette in fila per ricevere una spruzzata di acqua alla fine del rito, ma non la comunione.

Capita di assistere alla venerazione collettiva di un santo o di una qualsiasi madonna e che queste manifestazioni di spiritualità appaiano a noi occidentali decisamente eccessive.

Capita di parlare con il vescovo locale (mica il primo bamboccione) e di sentirsi dire: “Ah… avete visto quanta spiritualità nella nostra gente durante festa del Gran Poder?”. Per la cronaca questa festa, fatta in occasione della solennità della SS. Trinità e trasmessa dalla tv governativa, è forse la più grande di La Paz, migliaia di persone, uomini e donne, sfilano in costumi tipici ballando e bevendo birra senza misura e poi quel che succede succede. “Cos’ha di cristiano questa festa se non la ricorrenza della data in cui si svolge?” – chiedo al vescovo – “per la sensibilità occidentale è difficile attribuire un significato spirituale cristiano a manifestazioni del genere”. Forse sono io che non sono abbastanza elastico e allora devo tenere aperta la porta dell’ambivalenza, chi lo sa. Ma sono in ottima compagnia, dato che tutti gli europei qui la pensano un po’ così.

Che insensibili 😉

Capita infatti di andare a far visita ad una chiesa sull’altipiano e di incontrare per caso il parroco, un padre passionista spagnolo che si offre di guidarci e di spiegarci e poi, arrivando davanti alla statua della madonna, si scalda (anzi, si incazza) dicendoci che per i suoi fedeli la Vergine Maria non è altro che non la personificazione della Pachamama (la Madre terra precolombiana) e il diavolo non è che il Tio, la personificazione del male (che peraltro durante la festa sopra citata si cerca di ingraziarsi attraverso la danza della “diablada”, quando invece la tradizione cattolica la pensa giusto un tantino diversamente).

Capita che nella stessa chiesa arrivi un indigeno a chiedere un po’ di acquasanta. Come mai? È stato dallo Yatiri, lo stregone: gli ha detto che deve purificarsi andando in sette chiese diverse a prendere un po’ di acqua benedetta per fare il rito e bersela. Ma allora anche lo stregone riconosce che l’acqua che il prete cattolico benedice ha un quid di soprannaturale? Sì, ma nello stesso tempo manda le fatture al presunto ladro di compressori e lo fa morire poco dopo… (e morire proprio… mica per finta e neanche solo per un paio di giorni per fargliela capire).

Capita che gli stessi governanti, che pure riconoscono nella costituzione libertà religiosa, poi “confondano la gente” (secondo qualche altro occidentale), celebrano matrimoni collettivi con riti preincaici, al solstizio vanno a Tiwanaku a celebrare con cerimonie del tutto religiose l’inizio dell’anno nuovo e poi si professano cristiani (ma non frequentano più le funzioni cattoliche perché la linea governativa degli ultimi mesi è quella dell’indifferenza e del boicottaggio silente, almeno sui mezzi di informazione).

Che confusione [ sarà perché.. 🙂 ].

Ora, che problema c’è? E se c’è dove sta? Fino a che punto accettare lo status quo (inculturarsi?) da missionari cattolici dedicati all’evangelizzazione (magari nello specifico alla pastorale giovanile e alla formazione)? E fino anche punto proporre una linea più “ortodossa”? “Educare”? “Dottrina”? “Catechesi”? E qui… avallare o tentare di correggere?

Riabilitare la Teologia della liberazione?

Qui i missionari bergamaschi, che la gente ricorda con lodi sperticate, sono gli stessi che hanno partecipato alle lotte sociali e sindacali, si son presi le pallottole con i lavoratori contro le dittature, hanno cercato di tamponare le emergenze sociali, hanno speso soldi per costruire strutture/iniziative e migliorare la vita delle persone, ecc. La pratica della Teologia della liberazione, ma con quale “teoria”, insegnamento e predicazione? Probabilmente in bilico tra la coerenza con la pratica e lo star dentro i canoni programmatici decisi dall’alto (l’attuale papa ne sa qualcosa) forse senza cognizione di causa, ma tanto per quella c’è lo Spirito Santo, no?.

Oppure puntare più sulla “promozione umana”? Attività sociali? Sviluppo di progetti di contrasto alla povertà? di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione? di alternativa alla pena carceraria? di sostegno delle situazioni di disagio eclatante (disabilità, tossicodipendenza, ecc.) o sommerso (madri sole, violenze domestiche, piccola delinquenza) di alternativa al narcotraffico?

Certamente non esiste alternativa secca. Tutte le realtà missionarie confessionali (e alcune anche dichiaratamente laiche) che ho visto nella vita fanno l’una e l’altra cosa e l’una nell’altra, la pratica motivata dalla fede, dai valori, dalle idealità, in una stretta soluzione di continuità. Ma il problema di come parlare all’uomo in modo efficace c’è, il problema della scelta tra due soluzioni possibili c’è. C’è anche in Occidente e in Italia, anche a Bergamo, dove forse un altro tipo di paganesimo politeista di gran lunga peggiore di quello boliviano sta invalidando un sacco di sforzi da parte di chi fa evangelizzazione.

Quando dicono “bravo missionario”, “scelta coraggiosa”. No. È più coraggioso starsene lì da profeti in patria. E, certo, qui ci sono altri problemi da risolvere, posizioni da prendere, tanto lavoro da fare (insieme, ma direi che non ho mai visto una chiesa bergamasca così unita come qui, pur nelle differenze), tanti bisogni primari a cui rispondere, forse anche quello di una “pulizia” nella spiritualità della gente che però salvaguardi e valorizzi la tradizione. Come? Bella domanda. Ma largo alla fantasia.