Cochabamba (al caldo), 18-19-20 Luglio. La nostra partenza da Viloco è funestata da una telefonata ricevuta alle 4.30 di una signora che ha perso marito e un figlio carcerato la stessa sera… ovvio che per tutto il viaggio il don è un continuo e triste fasciarsi la testa per come fare a sistemare i due defunti, pratiche burocratiche, tempistiche, organizzazione dei viaggi, ecc.

Ma… Gruppo Bergamo.

Il Vicario generale e il Direttore del Centro missionario diocesano fanno visita un po’ qua e un po’ là alle nostre realtà e negli ultimi giorni della loro permanenza ci si ritrova là più o meno tutti quanti, più o meno bergamaschi, preti, suore e laici.

Ne mancano veramente pochi, tra cui un grande (preferenze personali, neh…): Alessandro Fiorina, compagno dell’ultimo anno di quel posto infeltrito, in cui ci siamo sempre tanto divertiti.

E beh, Gruppo Bergamo: che spettacolo! Poco più di 48 ore di formazione, preghiera, conoscenza di persone nuove, ritrovo di alcune vecchie… momenti leggeri e intensi, relazioni come solo in certi contesti e solo con certi tipi di persone possono intessersi.

Ci sono qui i mostri sacri della missione bergamasca di Bolivia, beh, uno ce l’ho in casa (“negòt de fa, a l’è ‘l migliùr” continua a ripetere Ivo), gli altri sono preti o laici che qui hanno passato la loro vita e prestato il loro servizio: Ricky e Pietro, arrivati qui a vent’anni, sposati con donne boliviane e ormai con i figli grandi, il primo definirlo educatore è riduttivo, come il secondo definirlo medico (ma le saccagnate che s’è preso a briscola chiamata…). Mons. Angelo Gelmi, arrivato qui come volontario, diventato poi prete e vescovo, ormai con i suoi settanta superati e i suoi acciacchi; alpinista e andinista di primissimo livello (adesso ho messo tutto in un sacco picozza, sacco a pelo, i ramponi li ho prestati via,… te ocòr vergòt? dice con un filo di rammarico). Una sfilza di suore con le loro belle età, ma ancora agguerritissime (e dolcissime, tipo la Fiorentina, classe ’40 che compie gli anni e al “Tanti auguri” corale risponde con gli occhi lucidi). Manca la squadretta di sorelle di Munaypata, ma dopo 40 anni di Bolivia chi le muove più?… E poi altri monsignori o sacerdoti, gli “Eugenios”, e poi l’Antonia, la Maria, il Mario, il Danilo e tanti altri.

Ci sono anche i più giovani, preti e laici (suore giovani non ne ho viste ma mi dicono che qualcuna ce n’è) che portano tutto il loro entusiasmo (che frase fatta del cavolo…). Tutte sembrano personcine serene, a modo, che hanno il loro lavoro da fare e le loro idealità da inseguire. C’è anche l’allegra famigliola: Dani, Elisa e i due cuccioli Irene e Lele.

Tutti quanti belli, ma proprio belli, dal primo all’ultimo. Il clima è sereno, ci si saluta e si chiacchiera con estrema cordialità, quelli che non si conoscono si presentano con semplicità, anche i mostri sacri con i pivelli senza nessuna sensazione di superiorità o di inferiorità, ma con grande rispetto reciproco. Nessun brontolamento, giudizio supponente, ma ascolto, dialogo, prese in giro bonarie, battute e risate, bergamasco-misto-castigliano che si spreca, briscolone, una cena con don Antonio&Pietro show che tengono banco e fanno ridere a crepapelle la tavolata con latinismi e irrisioni di formalismi burocrat-episcopali (ridono tutti, tranne uno che scuote la testa: ol problema l’è che lü ‘la fa del bu, dopo). E il che poi mi dice tra le righe a l’è fo de co chel là. Il fatto che i due non si ùsmino non è cosa nuova, ma non è una nota stonata, noi ci si ride su. Un paradiso. Che come tutte le cose belle finisce troppo in fretta, su un aereo con le eliche che ci riporta a La Paz nel doppio del tempo di quello dell’altra volta (27 € contro i 35 dell’altro, mmm forse era meglio aspettare un paio d’ore e pigliare l’altro).