In spagnolo il termine “attesa” è evocativo: espera. Aspettare è esperar. E esperar significa anche sperare.

È un concetto dove il tempo che passa prima che si verifichi qualcosa non è tanto un tempo oggettivo e impersonale, ma soprattutto un tempo in cui ciascuno soggettivamente modula il suo stato interiore a seconda delle speranze che ripone nell’oggetto della sua attesa. Più la speranza nella buona riuscita (o nella rapidità del tempo) è alta più l’attesa è snervante.

Il boliviano sa aspettare e sa far aspettare mediamente molto di più che un europeo. E l’italiano che si trova in Bolivia mediamente si snerva di più che un boliviano (anche quando a farlo aspettare non sono i boliviani, ma i temi sono “scottanti”). Il boliviano può dire: «Sì, un attimo per favore, adesso arrivo», farti aspettare delle ore e arrivare, scusandosi per l’attesa, solo per pura formalità, ma senza nessunissimo senso di colpa. Così puoi dire al boliviano la stessa cosa, farlo aspettare ore, fuori-in piedi-al freddo e tornare senza che lui ti rimproveri di nulla (ma i nostri sensi di colpa…).
Il che può vuol dire due cose: o che al boliviano mediamente non gliene frega poi più di tanto (cioè non ripone molta speranza nell’oggetto atteso), oppure, meglio, che ha un concetto del suo essere nel mondo meno efficientista, meno egocentrico e insieme un concetto di attesa molto più orientato all’oggetto atteso che al soggetto attendente. Nella loro filosofia c’è che chi aspetta non perde tempo, investe tempo per avere quello che cerca. Non potrebbe far nulla che aspettare in quel momento lì, perché questo gli garantirà l’obiettivo della sua giornata. Un obiettivo solo per il mattino, uno solo per il pomeriggio, non quindici ogni ora come quelli che vogliamo raggiungere noi occidentali. Che siamo più produttivi e abbiamo il pieno sviluppo, viviamo di più, e probabilmente peggio.

Nel mese #11 c’è stato poco da aspettare, c’è stato invece un grande viavai, movimento, cose nuove messe in pista, cose nuove in programma da mettere ancora in pista, altre da progettare perché poi altri le mettano in pista senza troppi problemi, alcune cose da portare a termine prima di tornare. Insomma la vita è fatta di piste. C’è chi va, c’è chi viene e anche chi rifiata al bordo. C’è anche chi le fa scomparire con il naso e un biglietto da diecimila.

Come sto: in attesa. Ma anche in accelerazione lenta e costante. Salute a posto, orecchie tese, occhi proiettati come fanali, testa in patria (quando disimpegnata). Dopotutto, come scrivevo a Marco, era già in Bolivia qualche mese prima di partire, mi pare logico che adesso, col biglietto in mano, sia in Italia.

Come sta il don: mi ripeterei. Posso aggiungere che in questi ultimi giorni è particolarmente creativo e impegnato, non solo per le incipienti cerimonie pasquali che gli stimolano invenzioni di ogni genere, ma anche perché ci sono diversi oggetti di lavoro apertissimi, tra cui cose che gli sono capitate tra capo e collo e…

Come va a Viloco: normale amministrazione. I minatori con la solita faticosa giornata tipo, rasserenati un po’ dal fatto che le piogge sono quasi terminate e anche in miniera ci sono meno infiltrazioni noiose e pericolose. I campesinos sempre alle prese con i loro terreni (“non c’è mai riposo per un agricoltore”, dicono). È tempo di raccolti di patate, peperoni, zucca, mele cotogne, invece è ormai un po’ tardino per le pesche e le albicocche. Nelle terre vinicole della Bolivia è tempo di vendemmia. Il giorno 19 è stato il “giorno del padre” per cui tutti in fermento per il regalino al papà, ma anche nelle scuole si sono fatti festeggiamenti, torneini di calcio… e anche per il sottoscritto una partitella di basket finita moribondo.
Ci sarebbe da dire un po’ come va in casa, perché da qualche tempo abbiamo quasi smesso di lavare i piatti… abbiamo assoldato Myriam, una giovane mamma vedova con 2 figlie a carico (la seconda di un mese), senza più né casa né lavoro che un giorno sì e un giorno no viene a fare qualche mestiere. Si riesce da lì ad immaginare lo stato della cucina la sera prima del “giorno si”? «Lascia lì che domani viene la Myriam!». Disastro.

Attività
1. percorsi di educazione sessuale nelle scuole: bello parlare pubblicamente, ironicamente e con un po’ di sana leggerezza di un gran tabù, che qui si traduce in zero parole e tanti fatti nella più assoluta riservatezza del privato. I ragazzi maschi sono abbastanza silenziosi, le ragazze un pochino più snelle sul tema. La scioltezza sembra inversamente proporzionale alla quota e direttamente proporzionale alla temperatura: nelle zone più basse (e calde) c’è meno timore a far domande, ad intervenire, a scherzarci su, ovviamente non è che si sprechino, però perlomeno non sono autentici manichini come un po’ più sopra. Soprattutto in un colegio siamo stati talmente apprezzati che mi hanno chiesto se posso essere “padrino della Promoción”… (aspettavo solo questo); invito gentilmente declinato adducendo motivi di assenza dalle scene nei prossimi mesi, ma anche perché se dovessi per caso tornare in tempo per la graduazione non mi si schioderebbe il sospetto che l’invito più che dai ragazzi venga dal direttore al quale ho promesso cospicui aiuti “informatici”.
2. questioni kantutitas: a) accordi sanitari pronti per essere corretti da chi ne sa più di noi di lingua spagnola e per essere sottoposti alle “autorità sanitarie” per eventuali ritocchi contenutistici, anche se dopo i preaccordi verbali dovrebbero essere proprio solo esattamente eventuali ritocchi e niente di più.  b) le sperimentazioni di distribuzione piacciono a quasi tutto il consiglio e adesso decidiamo se il nostro obiettivo è garantire un aiuto effettivo ai bambini oppure aiutare i genitori a responsabilizzarsi (i due assieme mi paiono un po’ fuori dalla nostra portata, però le grandi illusioni hanno rivoluzionato il mondo… mah). E poi vediamo di procedere alla fase B della sperimentazione (la card), così una buona volta o mettiamo via il pensiero o lo portiamo a conseguenze praticabili e sostenibili anche in mancanza di qualcuno che se ne occupi; c) ci sarebbe poi da fare qualche riflessione su quanto si investe in salute e quanto in aiuto diretto e su quali sono le priorità del progetto (e i rischi delle azioni che si mettono in campo).
3. encuentro juvenil: buona la prima. La solita ottantina abbondante di ragazzi/e, molti nuovi. Sarà un buon segno o no? Mah, vediamo la seconda fissata per il 15 Aprile, domenica in Albis.
4. scorribande nelle comunità:  in questi ultimi giorni tutte le sere in giro con la nuova tv a far vedere film sulla vita di Gesù, in particolare la passione… in preparazione alla Pasqua.
5. Metti un venerdì sera a Viloco. Accantonato il fallimentare coretto dei giovani, ci stiamo cimentando in un’altra mission impossible: il coretto delle signore. Le prime sperimentazioni sono abbastanza incoraggianti: le trenta signore, tra un bambino da zittire tappandogli immediatamente la bocca con un capezzolo e la cacciata di un cane dalla chiesa non riescono a fare neanche tre note di una scala maggiore qualsiasi, non riescono a “prendere” una nota, non riescono a riprodurre correttamente un intervallo o una sequenza che non abbiano già nella testa, però timidissimamente canticchiano (e anche un’intonazione quasi decente) sia canti Aymara sia canti in castigliano e se cerco di tirarle fuori strada improvvisando una seconda voce (perché da solo anche senza urlare le sovrasto) incredibilmente non sviano e cantano correttamente quello che devono cantare. Sempre perché non concepiscono alternative alla melodia che hanno imparato. Ma la cosa può anche essere positiva. Quindi il migliore sistema di apprendimento è dar loro loro dei CD che si ascoltino centinaia di volte e che poi il venerdì ci facciamo il nostro ensemble all’unisono. Sognando Perosi…

Cosa bolle in Bolivia
In questi giorni si sente di un casino dietro l’altro, la gente di El Alto si lamenta nell’ordine:
– dei ritocchi all’insù (non autorizzati e ingiustificati -dicono-) dei prezzi dei trasporti pubblici,
– delle scuole che non hanno “items”: materiali, supporti didattici, computer, non hanno fatto le ristrutturazioni promesse, non hanno ancora a pieno organico il personale docente, ecc.;
– infine della poca sicurezza pubblica.

Per tutto ciò stanno praticamente paralizzando la città invadendo le strade con i classici bloqueos.

A questo c’è da aggiungere:
– a La Paz la protesta dei coltivatori di canna da zucchero e quella delle vittime della dittatura;
– a Cochabamba la protesta di quelli che vogliono che si raddoppi la strada Suticollo-Quillacollo;
– tra Tarija e Chuquisaca continua la questione dei confini delle due regioni (confine sul quale sorge il famoso Campo Margarita sotto il quale c’è gas e quindi regalie);
– e idem la disputa tra Oruro e Potosì sempre sui confini…

Quelli che non litigano è perché sono ancora alle prese con gli allagamenti delle piogge intense delle settimane scorse e adesso come adesso… hanno altro a cui pensare, ma non preoccupiamoci, risolveranno presto i loro problemi e ricominceranno a scontrarsi per minchiate. Altrimenti poi la Bolivia rischia di raggiungere lo sviluppo… eeeh no, non si fa.

Cosa bolle in pentola?

Per il dodicesimo e ultimo mese:
– le marmellate a Torrepampa per la gioia della Mariuccia;
– tre o quattro lezioni di cucina italiana, finalizzata in realtà alla sopravvivenza e al benessere del don quando rimarrà da solo; prima lezione: 1. come far cuocere la pasta a 4000 metri senza farla tostare nell’olio bollente; 2. come utilizzare il riso senza farlo bollire nell’acqua e mangiarlo come “accompagnatore” di qualsiasi altra cosa; 3. come sopravvivere una settimana senza né riso né patate; 4. indicazioni nutrizionali: perché i bambini dovrebbero smettere di aver sempre qualche schifezza in bocca e perché gli adulti dovrebbero imparare a differenziare l’alimentazione);
– l’impianto elettrico della chiesa di Bajadería;
– un’impostazione e gestione un po’ più imprenditoriale del forno.

Hihihi (saluto della iena ridens)