Ovvero la ragazza della porta accanto, che non ti aspetti, ma nasconde tesori contro una nobile signora dalla erre moscia e amica del chirurgo, ma un po’ vuotina dentro.

Riparto da Tarija Domenica mattina presto, partenza del bus alle 7. Alla stazione alle 6.30 mi accompagnano don Alessandro e Rubén, il ragazzo con cui a Tarija ho legato di più. Saluti prolungati. La signora precisa che la flota partirà alle 7.30, perchè l’orario indicato è quello dell’arrivo in stazione, non della partenza [bestemmie]. Finalmente alle 7.50 le ruote si muovono, dopo che ovviamente il posto assegnatomi non andava bene perchè è stato venduto 2 volte e quindi ho dovuto mettermi in un posto corridoio, perlomeno da ammirare c’era un paesaggio alternativo 😉 una ragazza talmente idiota, ma talmente idiota… che però aveva altre qualità. Insomma, un po’ li capisco quelli che si mettono con certe… improbabili.

Paesaggio bello, colline aspre come solo in Bolivia, villaggetti sperduti nel nulla con poca vegetazione e pochi animali (tanti cani). Ore e ore tra sterrato e asfalto dove di tanto in tanto il pullman ondeggia pericolosamente, ma raramente cellulare non prende… beh, così anche se il pullman si ribalta la mamma sta comunque tranquilla 😉

Fermata a Camargo verso le 12.30 per… pisciare anzitutto perchè la vescica stava urlando da un po’. E poi anche per mettere qualcosa sotto i denti. Ripartenza (secondo me dimenticando qualcuno, ma secondo l’autista no, va bé), sosta forzata in uno di quei villaggetti sperduti, il pullman ha problemi. Un’ora, mentre cerco di tranquillizzare il Frans che va tutto bene e che solo tarderò un pochetto. Arrivo a Potosì alle 17.30 ora del primo tramonto, passando tra i tifosi che escono dallo stadio inneggiando al Real Potosí che ha vinto e creando un traffico che si assomma a quello del mercato in cui devo scendere… follia. Mi raggiungono Frans, Francia e il piccolo frignone Iker che a sorpresa non piange più nel vedermi e anzi… seppure con ancora un po’ di timore e vergogna però mi da la balla e udite udite, viene anche in braccio. Ci sediamo in un locale dove siamo gli unici a non mangiare (i boliviani mangiano a qualsiasi ora del giorno). Mi raccontano che alla miniera sta andando bene, sono una squadra di tre ed estraggono una buona quantità di minerale che dà loro di settimana in settimana una buona quantità di soldi (e infatti vedo che sono comparse felpe griffate, ecc… le stesse griffe che ci spopolano in italia, solo a prezzi ridicoli per noi).

Nell’attesa della hermana Giusi che passerà a prendermi, andiamo all’alloggio dove sono sistemati e continuiamo a contarla su e a giocare con il piccolo. Finché squilla il telefono e la hermana è arrivata, riusciamo in qualche modo ad incontrarci passando da un lato all’altro di una piazza gremita per vedere un desfile. Sopra le nostre teste il Cerro Rico illuminato, una montagna che non a caso porta quel nome. Da lì, nei secoli, praticamente s’è estratto tutto il ben di Dio che ha fatto ricca la corona spagnola per secoli. Se guardiamo a come è conciata ora c’è da ridere, anzi no, da piangere. Strada per Azángaro, qualche chilometro fuori da Potosí. Le suore, Giusi (bergamasca) ed Elisa (peruviana), hanno appena finito di accompagnare altre sorelle in una nuova casa di Porco (non è una barzelletta le suore a Porco, è che hanno aperto questa nuova esperienza e… iniziano a viverci) e non vedono l’ora di arrivare a casa, mangiare qualcosa e andare a dormire. A casa ci aspetta Alycia, ragazza de pollera che vive con loro. A cena è tutto uno show della suor Elisa, ma quando al finisce di parlare questa? Si vede che è in forma. E ha preso un grande vizio dei boliviani (che peraltro ha anche il don Antonio, eh…): reagire con finte domande. Per esempio ad un’affermazione positiva (che quindi non necessita di una reazione da parte dell’interlocutore, non essendo una domanda) continua con “Sì, no?”. Così ad un’affermazione negativa: “No, no?” Uscite assolutamente inutili, al di là della cacofonia, ma alle quali a noi verrebbe spontaneo rispondere “Sì”, o “No”. Cosa altrettanto inutile. A volte per scherzare ho provato a rispondere il contrario di quello che mi sarebbe venuto e in effetti all’interlocutore la contraddizione è suonata, tipo…
– “Teh, hai visto che stanno bloqueando ancora le strade? Non si può andare avanti così”.
– “No, no?”
– “Sì, si può”.

Chissà se avranno capito la stupidità della finta domanda. Credo di no.

Giorni belli dalla Giusi, servito e riverito, Lunedì la mattina a casa in visita alla scuola dove insegna Alycia e poi a strappare le erbacce dal giardino e il pomeriggio a visitare la città, Martedì visita più approfondita di questa perla della Bolivia, credo la città più carina e ricca di storia in assoluto. Impressionanti alcune cifre, tipo che nel periodo d’oro dello sfruttamento minerario (il periodo coloniale perlopiù) Potosì contava sei volte gli abitanti di città come Parigi o Roma. Viuzze in leggera pendenza ovunque, ciascuna con il suo fascino, con qualche edificio che colpisce l’occhio, l’area pedonale, giri l’angolo e trovi una piazzetta meravigliosa. E poi chiese coloniali, musei, ecc. Poi cittadina piuttosto piccola, a misura d’uomo; tutta, centro e periferie, arriva ai 5 km, a far tanto. Se uno viene in Bolivia non può non venire a Potosì e uno non può nemmeno non andare dalla suor Giusi, anche se gli stanno antipatiche le suore, perché è un personaggio.

Maicol vorrá sapere delle potosine… beh, dai, ci sarebbe da dire che in città l’occhio è sempre più appagato, neh, quindi non fa testo il confronto con Viloco per es. Però dai media buona anche a Potosí pur essendo città di 4000 metri, un salto nella zona universitaria merita, non per le ragazze ma per i monumenti ;).

Mercoledì: pianificato con qualche difficoltà il viaggio a causa della settimana piena di blocchi stradali, scioperi e manifestazioni che Evo Morales ha il suo bel da fare…, alle 4.45 mi alzo, complice anche una telefonata dall’Italia che ha anticipato la sveglia (Stefi, cazzo, il mappamondo e la abat jour… ;)) e alle 5 sono listo. Dovrebbe venire a prendermi un tizio-taxista con due altri stranieri che lo hanno contrattato, per poter arrivare a Sucre prima delle 7.30 – 8 in modo da evitare i casini. Il tizio tira e molla arriva alle 6.30, va bè, si può ancora tentare l’assalto. Saluti e baci, si parte e si arriva in un batter di ciglio senza intoppi, nel frattempo un paio di gradite telefonate dall’Italia, una della Vale-Tribuz, che mi ha fatto un enorme piacere. Alle 8.30 apro la porta dell’Hostal consigliatomi e mi infilo sotto la doccia. Ci voleva. Poi mi scodello in città girandomela a piedi, cercando invano un passaggio aereo per il giorno seguente (che è oggi) con Boa, non per mia testardaggine o sfiducia nelle altre compagnie aeree, ma per il fatto che avendo 5 biglietti aerei con Boa il sesto, questo, sarebbe gratis… e mannaggia non c’è posto.

Pranzo solo (una delle cose più tristi della vita se non si è almeno in casa propria) in un locale chic in piazza, beh, città elegante vuole un pranzo di gala. Mi siedo, guardo, ordino, mangio, il cameriere ha fretta e viene a togliermi i piatti da sotto il naso quando non ho ancora finito, ma caaaaaa… ma làsem disnà con calma, cribbio. Però… che caffè espresso, cavolo. Va bè, è un perfetto incompetente che parla, ma il gusto mi ha travolto. Il giro continua, dopo una veloce pennichella, perchè insomma… ci voleva. Cena in un posto squallido (per risparmiare perchè ho speso troppo a pranzo… ;)) e a letto presto con una tosse che mi fa saltare nel letto ad oltranza. Preferivo una mora.

Giovedì ore 6.30, abluzioni e preparazione dello zaino, alle 7 sono alla reception per pagare, tutto chiuso. Suono il campanello,  arriva il figlio della signora al quale chiedo di poter pagare e andarmene e capisce l’opposto… finalmente arriva la signora che mi accontenta, piglio e volo in aeroporto, ma anche prima delle 8 gli stronzi che bloccano le strade sono già all’opera. Scendo dal bus e mi faccio l’ultimo pezzo a piedi, in fondo, una passeggiata di primo mattino fa bene alla salute. All’aeroporto mi confermano che non ci sono posti, spero di potermi far mettere in lista di attesa per imbarcarmi con Boa e quindi non pagare il biglietto. Aspetto, aspetto, da buon boliviano, aspetto, aspetto, aspetto, mi faccio vivo da quello che mi sembra il capo, mi annota, aspetto, aspetto, aspetto, mangio una salteña, aspetto, aspetto, compro e leggo il giornale, aspetto, aspetto. Finisce il check-in e non mi chiamano, aspetto, aspetto, mi faccio vivo: cucuuuuu, sono in lista di attesa… aspetto aspetto, mi dicono di aspettare. Allora mi incazzo, non sto facendo altro da tutta mattina, mando a quel paese il biglietto gratis e vado a trovare la signorina del Tranporte Aereo Militar che in un minuto mi fa biglietto e check-in. Fantastico. 500 boliviani, grazie. Aspetto, aspetto, salgo al ristorante, mangio, aspetto, aspetto, scendo, dlin dlon “El señor Diego Colombo…” PANICO. Vado al banco del check-in e mi chiedono il biglietto, il passaporto, l’òstrega. Controllano minuziosamente… Chiedo se c’è qualche problema, “No se preocupe”, mi restituiscono tutto. E intanto sto lì ad origliare quello che dicono.
– “Chi le ha fatto il biglietto?” -mi chiedono.
– “Come chi le ha fatto il biglietto…? Una signorina seduta a questa postazione”.
Era evidentemente la stessa che c’era seduta in quello stesso momento solo senza sciarpa, ma dietro c’era il capo un po’ incazzoso e allora mangiata la foglia da pre-cazziatone per la signorina, non volendo metterla nei casini, rispondo il più evasivamente possibile. Deve aver fatto la cazzata. E perciò deve esser punita? Oppure era la sorella di questa ed è scappata coi soldi?

Va bè andrò a prendere l’aereo che è in pre-boarding…

Hasta mañana.