Se non ricordo male dagli studi classici il termine greco che dà origine alla nostra parola “crisi” ha un significato positivo. In senso letterale (gr. krisis, lat. cernere) significa separazione, decisione, discernimento. Su questi binari, in senso un po’ più lato, ma non troppo, potremmo definirlo come momento di riflessione, di valutazione e di distinzione del bene e del male, di ri-valutazione, cioè di ripristino dei valori fondanti l’agire, personale o collettivo che sia. Momento non più di opportunismo in cui ciascuno cerca di tirare acqua al proprio mulino (in barba alle necessità idriche altrui), ma di opportunità di miglioramento, di abbandono di alcune strade che hanno portato a certi risultati e di riposizionamento su altre più virtuose che non si sa a che risultati porteranno, ma che garantiranno sicuramente processi più rispettosi dei valori, più equi. Nel concetto di crisi c’è quello di movimento, di cambiamento, di terapia d’urto, di reattività, di esteriorizzazione, di speranza. Nel sentire comune invece “sotto il cofano” c’è un’idea depressiva e fatalista: di accettazione forzata di una realtà ineluttabile, di passività, della necessità di sopportare, subire, di attesa. In entrambi i casi si parte da un problema, ma poi ci son due modi opposti di fargli fronte.
Tendo a diffidare della gente che dice di essere in crisi (personale o di coppia) e proietta fuori di sé le responsabilità del problema o si siede piangendosi addosso (“eh… che ci posso fare?”), momento magari anche doveroso, ma che andrà necessariamente accompagnato il prima possibile da un movimento determinato. Diffido dei politici che tentano di nascondere la realtà (il fare politica dovrebbe essere invece una crisi continua). Sì, troppo tardi adesso per dirlo in giro, va be’. Però queste riflessioni me le ha ispirate un più che illuminante articolo di Internazionale sulla crisi greca (senza nessuna speranza purtroppo che le cose in Italia siano diverse). E speriamo che loro, che hanno inventato questa parola e se la son vista stravolgere di senso, possano stravolgere la loro situazione e “installare” una nuova classe dirigente un po’ più virtuosa. La stessa cosa vale anche per l’Italia chiaramente.
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