la visione mattutina

…vedere dal telefono che mancano dieci minuti alle sei, sentire una pioggia che cade leggera, scostare la tenda e intravedere alle prime luci (e senza lenti) il vetro appannato e intuire che fuori deve far molto freddo, sentire del movimento in casa assieme ad un profumo di legna ardente e rendersi conto che quelli del forno hanno già acceso il camino del salotto con la brace che a loro non serve più, quindi girarsi dall’altra parte perché è presto e poi magari oggi una mezz’oretta in più orizzontale ce la faccio scappare volentieri con questo suono meraviglioso delle migliaia di goccioline di acqua che cadono per terra…

Riaddormentarsi sognandola mentre mi chiede della Bolivia, mi racconta di sé e mi stringe forte, prima di uscire a cena anche con il suo uomo e capire che è proprio una gran bella persona e che staranno bene assieme.

Risvegliarsi e crogiolarsi nel letto ripensando a tutte le persone con cui in questi giorni s’è parlato e scritto in italiano, le email, le telefonate di ieri, i messaggini; soprattutto aver assaporato (e spero anche un po’ restituito) tanto affetto e vicinanza.

Alzarsi dal letto ben riposato e con una scorta di caldo sufficiente per riuscire a lavarsi e vestirsi, aprire tenda e finestra e subire un improvviso assalto sensoriale: aria pungente sulla pelle, profumo di pane sfornato nelle narici e… sotto gli occhi una distesa di bianco, troppo bianco per essere la solita nebbiolina penetrante di questi giorni. Vestirsi in fretta, correre in bagno e poi in cucina, passando dal salotto tiepido, bere un caffè intingendoci dentro uno dei nostri panettoni di quelli mal riusciti e guardar fuori dalla finestra, questa volta con i “fanali”, ipnotizzato dalla neve che cade, sentire il don che sbuca alle mie spalle e mi dice: “Buon Natale”.

“Caspita, ma allora è Natale davvero” – gli rispondo.

Se ne va ridacchiando sotto i folti baffi mentre armeggia con la sua improponibile macchina fotografica bianca a pellicola; un flash mi fa tornare a Curnasco dove ho ancora tante belle pellicole scadute con le quali sarebbe bello fotografare questo paesaggio in bianco e nero e farlo uscire con colori manieristi.

omelia ad Huchambaya

Per anni, come il Grinch, ho odiato l’ipertrofico Natale occidentale, pieno di luci, carta dorata, stoffa rossa e ipocrisia. Ci voleva la Bolivia per farmi tornare bambino e farmi sentire quell’atmosfera magica. Per lo meno. Poi anche qui quanto a senso c’è da lavorare molto, ma il terreno è più vergine.

benedizione del presepe ad Araca

Ieri pomeriggio nelle terre di mezzo: messa nella chiesa-madre della parrocchia, quella che le dà il nome, San Marcos, ad Araca, seduta su una miniera d’oro abbandonata, 3500 metri troppo freschi per essere estate, un sacco di gente che arrivava con ogni mezzo.

ambientazione natalizia alla comunità che ospita la messa

La messa, lo spuntino (latte caldo e buñuelo) lì fuori quasi al tramonto, la corsa ad Huchambaya all’imbrunire, il triplo della gente, altra messa, con la gente che chiacchiera e capisce poco di quello che gli si dice, che manco si fa il segno della croce quando lo deve fare, imbarazzante, il don che si incazza (e poi chiede scusa se non riesce a farsi capire da molti). Fuori la gente parla aymara, mi guarda e mi chiede qualcosa, io sorrido e rispondo cercando di imitare i loro suoni e così anche loro si mettono a ridere e amen.

messa della vigilia di Natale

Stamattina invece messa alle 11 qui Viloco. Ci sono un sacco di battesimi da fare tra cui uno di cui dovrei fare il padrino… ma che deve fare un padrino in Bolivia? Tra l’altro devo farlo assieme al fotografo e al suonatore… Sì, alla fine me la son cavata con un suonatore di riserva e la sorella della mia figlioccia come fotografa improvvisata. Poi pomeriggio a casa dei compadres (adesso da loro devo abituarmi a sentirmi chiamare così: “compadre”).

il battesimo di Mary

Per lo meno gli altri figli non mi chiamano “confratello”, questa sì sarebbe una tragicommedia. Pranzo tipico boliviano con eterna chiacchierata e risate, birra, ricca merenda impastata e fritta al momento; il rito del taglio dei capelli alla figlioccia (ma come cacchio fanno i parrucchieri a tirare le righe diritte?). Stupendo. Me ne sono andato alle 19 dicendo che il padre a quell’ora probabilmente era affamato, la scusa funziona sempre.

il rito del taglio dei capelli

Lo trovo chinato su un libro cercando di perfezionare la sua preparazione in vista del ritiro dei sacerdoti diocesani. Gli racconto che poco prima uno scorbutico all’ufficio della ditta di trasporto mi ha fatto capire che la nevicata rende pericoloso il transito sulla strada per La Paz, decidiamo quindi che rimandiamo anche la nostra partenza per l’incontro giovanile diocesano ad uno dei prossimi giorni posteriore ad una soleggiata importante.

Che gran bel Natale. Finalmente.

Adesso sì che posso fare gli auguri a tutti senza sentirmi un idiota: buon Santo Stefano! 😀

P.S. Caspita, mi scappa l’occhio sulle news e scopro che è morto Giorgio Bocca. Al di là dei miei omaggi ad uno degli ultimi giornalisti-scrittori italiani con le doppie contropalle, mi viene un pensiero cattivello come ne avrebbe fatti lui: non poteva che andarsene il giorno di Natale. Mitico