Non ho esperienza diretta di Sahara o Negev, ma immagino il deserto come un’esperienza unica.
Quanto deve essere desolante fare tutto un giro su se stessi senza riuscire a scrutare altro che un orizzonte sempre identico? Quanto sconfortante l’impossibilità trovare un punto di riferimento in un panorama in continuo mutamento ad ogni sferzata di vento?
sentendo sotto le scarpe solo aridità e instabilità?

In questi mesi ho vissuto un deserto in carne ed ossa: una persona con un nome, un cognome e una vita.

Mi chiamava, mi chiedeva aiuto dicendomi di starmene lontano da lei, mi incuriosiva tanto da farmici entrare, inizialmente tanto titubante da non vedere un futuro, forte anche di un’altra relazione. Ma poi…

…ho scoperto una sintonia che mai avevo provato prima, da suoi minimi cenni, anche a distanza, capivo perfettamente il suo stato d’animo prima ancora che affiorasse sulle sue labbra o mi si palesasse. Davanti agli occhi era solo sabbia, nel cuore e nella mente acqua cristallina. Ma poi…

…poi nel deserto ho visto spuntare un fiore, piano piano, bagnato da tante lacrime e sudore. E poi due, tre. E ora qualcuno per favore mi dica come si fa a non commvuoversi davanti a questo spettacolo, a non innamorarsi di un deserto che produce un fiore e a non volersene prendere cura. Qualcuno mi dica come si fa a sopportare di essere spinti via a forza da quella meraviglia.

Mi sono innamorato, sì. Non mi capitava più da una decina di anni abbondante di fiorire anch’io così (e non me ne voglia la dottoressa, che comunque ho amato e mi ha amato).

Ma il passato è passato. “Lasciar andare”. Lo insegnano tutti i maestri di vita interiore di qualsiasi filosofia o confessione. Anche quando questo deserto irrompe continuamente nel presente, soprattutto in modo immateriale nei pensieri (la famosa “scimmia”). Difficile da accettare, come tutte le separazioni forzate (e in questo periodo bestemmierei se mi lamentassi di questa, con tutte quelle -di gran lunga peggiori- che son capitate a persone care), ma contento di aver visto fiorire il deserto fuori e anche dentro di me contro ogni speranza e ragionevole ipotesi. Mi sento vivo e ho voglia di frutti. Chi c’è c’è, chi non c’è… cazzi suoi, non sa cosa si perde, ehm, non lo so neanch’io in realtà, ma sento in poppa la propulsione di un vento che fa paura, anche se le ferite ancora bruciano. E grazie ai samaritani e agli albergatori che se ne stanno prendendo cura.

Amarsi un po’ è un po’ fiorire
Aiuta sai a non morire

Mogol-Battisti, Amarsi un po’, 1977
(tra l’altro singolo più venduto di quell’anno. Coincidenze?)