… non perché sia stata chissà quale giornata da fissare negli annali, ma comunque…
Il don, dopo essersi assicurato – come tutte le mattine – che abbia mangiato abbastanza, mi mena appena sopra il paese alla Mina Bonaparte (ma no, Napoleone, di cui pure ricorre la fine, non c’entra, ah no?, eh la sconfinata fantasia Boliviana :-)). Dopo 3 minuti di jeep ci fermiamo in un posto da cui si ammira un’ottima veduta di Viloco, oltre che un curioso tubo che sprizza acqua da tutti i pori. Mi metto a sacar fotos perché merita, mentre il don riempie delle taniche perché – ah già – siamo senza acqua (e lo saremo per un altro giorno almeno): già qui ci si lava poco perché senza acqua calda ‘sto “frescolino” non lo consente un granché, se poi bisogna usare la tazza della colazione per lavarsi i denti e il catino per parte del resto… passa anche la poca voglia (c’è qlc che aveva sempre freddo – e che io prendevo in giro per questa cosa – che ora forse se la starà ridendo, un contrappasso ante litteram). C’è un però comunque: ma che goduria è dopo il lavaggio rivestirsi e sentire il tepore e il profumo (fosse anche di marsiglia e olio di gomito) degli indumenti puliti addosso? Non ha prezzo.
Mentre penso che forse non conviene usare acqua per lavare i piatti di ieri sera – non è indolenza, è il buon senso che sconsiglia di lavare a freddo la sera quando già si sbarbella e allora si rimanda all’indomani – al don viene in mente che ci sarebbe da progettare (e realizzare) un impiantino elettrico nella casetta dietro la chiesa che si sta sistemando per accogliere il Vescovo a fine mese. Oddio… Va bè, viste le ottime condizioni dell’impianto della nostra reggia (fili rigidi, interruttori che vanno a fede e speranza, prese senza terra e/o senza mostrina che sfrigolano come un misto di molluschi nell’olio ogni volta che ci si infila una spina, lampade senza plafoniere con fili tutti nastrati a vista, ecc.) decido che la mia quasi-incompetenza saprà fare di meglio. Carta e lapis: piglio due misure, disegno le pianta, chiedo cosa serve, dove piazzare le luci, dove gli interruttori, dove le prese e via, due altre misure, due appunti sul foglio e altre due sui muri, lista della spesa (sperando di trovare fili a misura, ecc) e tra qualche giorno ci si lavora. Cugino Omar, tieni il cell acceso e ad ogni modo, se non esplode tutto qdo alzo il generale e se qdo torno son senza lavoro, potresti aver bisogno di un tiracavi? 😉
Lo schemino c’è, dopo qualche altro lavoretto è ormai tempo che cali il sole. In cucina ci son delle patate lesse, c’è della farina, un uoovooo…? Sì, ma andiamoo! Wow c’è anche della noce moscata, perfetto! il sale non manca di certo, lo scacciapatate neanche e quindi do una pulita al tavolo e via con l’impasto degli gnocchi. A cena si ferma incuriosito anche Nelson, il factotum del don: “Como se llaman estos ‘gnocchi’ en castellano? No sabes, no sabes?“
Cena finita. Fa buio. Partiamo per Pucarani e poi tappa a Cairoma, un’oretta scarsa di jeep e un’altra poi a tornare.
Durante il viaggio si parla del nostro passato, delle persone che entrambi conosciamo (un po’ di preti, un po’ di tribulinesi, un po’ di aeperiani) e il tempo passa, mentre la polvere si impossessa di nuovo della nostra superficie esterna e un po’ anche delle vie aeree.
Con le persone delle sue comunità il don è a suo agio e loro con lui, un po’ si prega, un po’ si ride (e come ridono sempre di gusto per delle stupidate!) un po’ si fa il planning degli appuntamenti mensili, mentre le 4 lampadine a basso consumo vanno e vengono e i bimbi girano tra i banchi oppure vagiscono fasciati sulla schiena delle mamme che per tenerli tranquilli di tanto in tanto si mettono a ondeggiare come ubriache o se li passano sul davanti e li allattano con estrema nonchalance.
Torniamo.
Il cielo stellato sopra di noi è da lacrime infinite (avrò modo di fotografarlo?), la legge morale dentro di noi invece… Kant non ce ne voglia.
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