Ecco perché quella volta aveva così fretta di tornare a Viloco piantandomi a La Paz e facendomi sperimentare la “flota” (il pulman) per tornare su.

Mancava qualche giorno alla festa dell’Ascensione e a Viloco tradizionalmente c’è qualche giorno di festa per l’occasione. (Mah, su questo “per l’occasione” ci sarebbe una riflessione da fare, includendo le due parole scambiate con mons. Turibio Porco Ticona, il nostro vescovo che va così fiero del suo primo cognome…). Ad ogni modo c’è festa e non ci piove. E festa qui vuol dire: gente che si indebita per organizzarla (ma che acquista prestigio sociale, sì, poi deve andare dei mesi in Brasile per lavorare e pagarsi i debiti), musica a palla tutto il santo giorno fino ad orari tardo-serali gente che balla, birra a fiumi con la gente ubriaca che ti ferma pure per strada con qualsiasi scusa…

– “Nelson, ma con tutte le feste che ci sono dappertutto, anche a Viloco, proprio a quella là dovevi andare?”-

– “È perché “yo estaba de luto” e non potevo ballare per un anno. Adesso il periodo è finito e allora avevo voglia di tornare su a ballare”. Nelson è l’omino quarantacinquenne, factotum del don. Qui non si fa niente senza di lui, non si sposta una virgola. Uomo di lavoro, di fatica, di ingegno, di fiducia, muratore, stuccatore, imbianchino, idraulico, elettricista, falegname, piastrellista, meccanico, autista, catechista, cantore, insomma uno che fa tutto quello di cui c’è bisogno. Fa e disfa con estrema nonchalance.

Era in lutto per la morte della moglie lo scorso marzo. L’unica figlia, più o meno ventenne, che è sposata e vive ad El alto, non è in ottimi rapporti con lui. Insomma. Un bel giorno mentre si era tutti a La Paz mi viene a prendere a Munaypata con la jeep per andare a fare due spesucce. Salgo e via, pensando di cavarmela in una mezz’oretta. Mi dice: “Devo andare al cimitero un attimo prima”. Va bene. La jeep va per strade sconosciute e tutte uguali, “Vado a prendere mia figlia”, suona il campanello, scende una ragazza con una bimba di 5-6 anni e un marmocchio più o meno di 3 che ha a balia. Sulla strada per il cimitero ci fermiamo a prendere dei fiori e una cola locale. Per raggiungere il cimitero di El Alto c’è un lungo rettilineo in parte asfaltato e in parte sterrato; ci siamo, entriamo per un portale povero e poi su e giù per i saliscendi di questo immenso camposanto che pare ubicato in maremma, più che su un altipiano a quota 4000: collinette, vegetazione rigogliosa, ecc…

tomba di EvaAd un certo punto l’auto si ferma, “Aquí está mi esposa”, le parole più tristi che gli ho sentito dire da quando lo conosco. Si sistemano i fiori in vasi fatti di bottiglie di plastica tagliate, si versa della cola in terra per dissetare la defunta e poi se ne offre a ciascuno. Sulla lapide c’è scritto: “Grazie Eva per tutto il ‘cariño’ che ci hai dato, ti portiamo sempre nel cuore”. Tutti giù il cappello e preghiera personale davanti alla tomba di Eva, classe ’69, giovanissima. Tutti tranne il bimbetto, che a un certo punto chiede aiuto… non è passato un minuto da quando abbiamo abbassato la testa in raccoglimento e lui si è allontanato qualche metro senza che nessuno se ne accorgesse.

Beh, rialzati gli occhi in direzione della vocina supplicante, la scena era da spettacolo clownistico: questo cucciolo là, con calata non la testa come noi, ma pantaloni e mutande, ha appena finito di fare il suo bisogno e con sguardo implorante aspetta che qualcuno vada ad aiutarlo. Potenza di un marmocchio. La vita, la morte, il dolore della perdita e i tutti i sentimenti si fermano qui, davanti ad una pisciata, che non è altro che la vita che continua.