È l’ultima sera libera prima della partenza, e la penultima in Italia. Tra le tante che mi rimangono ho due persone da salutare e sono entrambe a Milano. Precedenza alla vecchia amica (da ora solo vecchia) che ha bloccato la data da almeno una settimana, ma che so – sicuro come la morte – potrà avere dei disguidi lavorativi dell’ultimo momento. L’altra, conoscente più recente (da ora solo giovane), l’ho vista una settimana prima, ma – credendo di vederci ancora – non ci siamo salutati come avrei voluto e quindi le propongo di tappare i buchi lasciati dalla vecchia amica. È una ragazza sportiva inside e per questo non ho grossi problemi a rischiare di farla sentire un pochino “di riserva”.

In realtà tutto si ribalta, la vecchia mi scrive un sms, sarà a cena con clienti, forse ci si può vedere sul tardi o forse neanche. Quindi propongo alla giovane di passare al comando della serata e di lasciare la vecchia di riserva. Passerei a prenderla a casa e… che si fa? Si va a mangiare qualcosa? Arrivo, parcheggio. Non ricordo il codice del citofono, quindi chiamo e mi faccio ripetere, perché senza suonare non è possibile aprire il cancello, schizofrenie milanesi. Salgo per le scale, è incredibile la densità di popolazione di quel civico, arrivo al piano e faccio per entrare in una porta socchiusa. È quella sbagliata. Per fortuna si apre subito quella giusta e il volto angelico della giovane mi sorride e mi accoglie.

A volte penso che anche la morte sia così, un essere divino con sembianze umane così serene e pacificanti (e con un fascino senza malizia) che con un cenno ti invita a seguirlo; non puoi fare a meno di andare con lui, incantato, inerme, senza neanche pensare di opporre la benché minima resistenza…

Non so se sono vivo o morto, ma essere lì, con lei davanti, mi riconcilia con il mondo e con me stesso. Entro in questo appartamento striminzito e caotico, ma caldo, felpato; è la prima volta che ci entro, la seconda che arrivo nei paraggi. Lo spazio per muoversi è poco, la giovane mi estrae da sotto il tavolino una sedia e me la porge. In casa c’è Sara, un’amica e collega che vive con lei, una ragazza molto carina e dall’aria sbarazzina, in quel momento alle prese con il proprio torpore. Son quasi le 20. Tornata dopo le 16 dal lavoro si è stesa distrutta e con le gambe indolenzite e si è addormentata. Ora sta per rollarsi una sigaretta, mentre inizia la solita conversazione di routine tra due persone che non si conoscono. Lo stomaco inizia a ribollire e compaiono delle noci sgusciate in un pacchettino da 200 grammi che prontamente inizia a dimagrire.

– Che fate?
– Mah, pensavamo di andare a mettere le gambe sotto un tavolo, tu che fai?
– Non so, quel tizio mi ha invitato al birrificio, ma non so, magari quello non si fa più sentire, magari il sonno mi afferra di nuovo… dai andate a mangiare, poi casomai ci sentiamo e ci raggiungete.
– Va bene, bacio, ciao. Ah che carina questa Nivea, me la regali?
– Certo, ciao Diego, piacere e a dopo.

Usciamo. Prende a raccontarmi di Sara, emiliana trapiantata a Milano per necessità, con una sorta di fidanzato là col quale – non vedendosi praticamente mai – hanno deciso di starsene ognuno per i fatti propri facendo la propria vita indipendentemente (a tutti i livelli) l’uno dall’altra e valutando poi possibili riavvii della storia.
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Saliamo in auto e iniziamo un giro senza meta chiacchierando del più e del meno (no, solo del più): bisogna sapere che la giovane non è una di molte parole, anche se devo dire che è molto più sciolta ultimamente, e io sono alla guida in centro Milano e, pur essendo le strade abbastanza sgombre, l’attenzione va a dove si sta andando più che ad inventarmi qualcosa da dire… Che facciamo? Kebab? Pizza? Non conosci qualche posticino dove si mangia bene a poco (cavolo, certi pensieri vengono solo a Milano, e giuffètt)… Cammina cammina, arriviamo in un punto dove riconosco la viabilità, siamo nei pressi dell’abitazione della vecchia… Hihihi, andiamo a controllare se è c’è: una finestra dell’appartamento al quarto piano di un elegante palazzone tra corso Buenos Aires e la stazione Centrale è illuminata, ma probabilmente è il fidanzato che ne ha preso possesso. Parcheggiamo in divieto (ma tanto la vecchia dice che nessuno lì ha mai preso una multa) e facciamo due passi in cerca di qualcosa di commestibile. Appena voltato l’angolo ci intrufoliamo in un posto da cui esce un invitante profumo di pesce. Un cameriere sta pulendo un rombo di quasi due chili, così a occhio, e giuffètt. Un altro ci fa accomodare ad un tavolino striminzito quasi come l’appartamento della giovane. La voglia di pesce è tanta, si va per delle bavette allo scoglio, un bianco mosso e dell’acqua, perché lei e l’alcool non concordano troppo.

Allora come va il tuo lavoro precario? E come te la cavi con le tasse universitarie? Ma che vuoi fare della tua vita, almeno questo lo intuisci? E tu che farai quest’anno? Ma come t’è balenata questa bizzarra idea? Il clima è sereno fin quando si accenna ad un tema sul quale la giovane mostra una reticenza quasi assoluta. C’è ancora qualcosa del suo passato che non osa verbalizzare con me almeno, ma – dice – una persona competente con la quale verbalizzare c’è, in capo al mondo ma c’è. E questo mi rincuora. Perché non mi lascia molto in pace avere davanti una persona (alla quale sto iniziando a voler bene) sapendo che ha uno scoglio nel piatto e uno anche nel cuore. Non mi lascia in pace il pensiero di non poter fare niente per migliorare la sia situazione, per quello che un penultimo arrivato come me possa fare.

Caratterialmente io e la giovane sembriamo rispettivamente la versione maschile e la versione femminile della stessa entità. Scrivevo l’altro giorno in relazione alla più-che-collega-e-amica-Vale che siamo i due poli opposti che si attraggono, beh, in relazione alla giovane potrei scrivere che siamo due poli identici che… che…? Mi sembra quasi un’operazione narcisistica avere a che fare con lei e forse per lei con me. Ma è sempre (più) interessante.

È quasi mezzanotte, anche se non sembra, il ristorante si è svuotato, la vecchia non s’è fatta sentire, provo ad inviarle un sms. Ripartiamo in direzione-Sara rimasta fin ora in silenzio pure lei e quindi sarà facilmente tra le braccia di Morfeo. Un parcheggio, con quella densità di popolazione dormiente, è difficile trovarlo. Appoggio l’auto all’imbocco di una viuzza in cui nessuno passerà. “Beh, allora… grazie della serata, auguri per tutto, restiamo in contatto come possiamo e ci vediamo l’anno prossimo”.

Ma il discorso non finisce così, anzi, non finisce proprio, si accavallano gli argomenti come in una chat, quando uno sta scrivendo una cosa e l’altro nel frattempo pone una domanda diversa… Armeggia nella borsa ed estrae un dolcetto incartato che mi lascia nel vano portaoggetti e poi una caramella che mi offre. Ci voltiamo un po’ per non farci venire il torcicollo. Lei è di una bellezza folgorante, me ne starei lì tutta la vita a contemplarla. Ma se ad un certo punto ammiccasse e mi invitasse a seguirla? Che farei? Mi porterà via per sempre? Per esorcizzare la paura allungo le mani come a proporle un abbraccio che lei ricambia. Ci stringiamo per qualche secondo salutandoci. “Guarda che quando torno ti vengo a cercare“. Non risponde. Torniamo nelle nostre posizioni e aggiungo “Poi vedi tu se farti trovare o meno“. Non so se sono scemo ad osare sfidar la morte in quel modo, ma in quel momento potevo anche morire che andava bene uguale. Riallungo la mano in direzione del suo volto per farle una carezza. Lei ricambia. “Ciao Diego. Buona fortuna“. “Anche a te, cara, ne hai un sacco bisogno.” Esce, richiudendo con delicatezza la portiera.

Mi avvio verso casa, la vecchia non risponde, provo a chiamarla ma è spenta, sarà stata lei la vittima sacrificale di questo mio incontro pericoloso?