Come nome di città è un po’ strano, come città è un po’ strana, però…
2 Maggio, volo Boa delle 14 da La Paz, scalo a Cochabamba, il mio zainetto portato a bordo contiene delle forbicine sospette… a La Paz passa sotto lo scanner mentre entro nella porta del metal detector… riprendo il mio zaino e via. Potrei prendere in ostaggio la hostess (la più guapa, naturalmente). Invece mi limito a guardare il sempre bel panorama, l’Illimani, la cordigliera, Viloco… l’ultima volta che l’avevo visto dall’aereo non aveva ancora il campo in sintetico, beh, adesso fa una gran bella scena.
A Cochabamba l’aereo scala e di nuovo lo zaino passa sotto i raggi X (queste disorganizzazioni boliviane), stavolta non c’è scampo per le forbicine, tanto, mi dicono, su volo che prenderò non ci sono hostess guapas.
Entro nel secondo aereo, Boeing 737-200, seduta al mio posto c’è una tipa sulla mezza, tutta incollanata e profumata che legge un libro sui chakra. Non le dico niente e mi siedo accanto, rinunciando al finestrino. In fase di atterraggio mentre guardo fuori come d’abitudine per gustare il paesaggio che si avvicina, le piante e i tetti delle case che progressivamente ci arrivano addosso, lei si volta e mi inizia il suo dialogo, che riporto assieme ai [pensieri]:
– “Conosce Tarija”? [maleducato di uno che non mi hai neanche salutato, o no, magari povero sto gringo non parla neanche spagnolo]
– “No, signora, prima volta” [ecco, adesso stressami su tutto quello che c’è da vedere, dai]
– “Ahh, ma conosci qualcuno qui? Io conosco un padre italiano, padre Alessandro”.
– [conosci solo quello in tutta Tarija o ho così tanto la faccia da italiano che mi lanci un link di precisione chirurgica?] “Sì, proprio là da lui sto andando”.
– “Ma nooo, è mio amico, io vado là domani, sai faccio corsi di Yoga, guarda sai che facciamo? Ti vengono a prendere? No, perchè i ragazzi vengono a casa mia adesso a portarmi un letto e poi tornano, se vuoi vieni a casa mia che li aspettiamo”
– “Signora, molto gentile, ma sicura? [beh, quest’anno è iniziato con una avventura, facciamolo finire in bellezza]
– “Ma certo, solo che devo aspettare il bagaglio”
– “Non c’è problema, l’aspetto”
Usciamo, nel frattempo chiamo e comunico che sono arrivato, che ho incontrato Dora e che mi incammino con lei in attesa dei ragazzi e del letto. Arriviamo a casa sua, una casa molto yoga. Mi offre come brava boliviana un mate, con un po’ di pane fresco appena comprato, “ho portato dell’avocado, vuoi?”. Telefona a don Alessandro per accertarsi che i ragazzi arrivino. “Arrivano alle 18.30, c’è da aspettare un po’”. Intanto mi fa vedere la sua casa minimal, su un piano solo, con giardino e veranda, un appartamento affittato sul retro. Mentre diamo una bagnata alle piante aride, mi confessa che se ne sta andando a vivere altrove e vorrebbe vendere. Suo figlio in un interscambio ha conosciuto una tedesca ed è sposato a Brema da 10 anni e sicuro che tornare a Tarija non gli interessa affatto. Gli dico che compro io non so con quali soldi, ma… la casetta merita.
Arrivano i nostri: altro che ragazzi, il più giovane avrà 40 anni… e poi una serie di sdentati over 60 [Questi qua fanno yoga??]. Aiuto a scaricare e a montare i letti e carico il mio zainetto privo ormai di forbici…
Arrivo a San Mateo, periferia nordest di Tarija. Fa abbastanza caldo, ma le raccomandazioni sono di coprirmi perchè la sera accendono l’umidificatore in tutta la città ;). Uno dei “ragazzi” mi accompagna alla stanza mentre chiama Antonia, volontaria italiana. Appoggio le cose [chiudo la porta o no? Farà brutto?] ed esco, Antonia mi accoglie a braccia aperte, mi offre qualcosa da mangiare, perchè la comunitá giá ha dato, e si siede con me. Intanto le chiedo un po’ di lei e di come è arrivata a Tarija. Lei mi chiede di Viloco e del futuro.
Arriva don Ale, nel frattempo e inizia la riunione. Tocca a Severino raccontare della sua vita e poi domande in serie. Avvisi del “parroco”. E a nanna. La mia intenzione è di fermarmi qualche giorno, ma il clima è talmente bello che vien voglia di non ripartire.
Al mattino seguente ore 7 colazione e alle 8 mi chiedono se voglio andare a fare un giro a distribuire la colazione agli alcoolizzati che dormono per strada. Pronti. Uno, due, tre, quattro, all’ottavo punto di ritrovo abbamo già incontrato una trentina di persone. Siamo ora in una zona riqualificatissima della città, il parque tématico, non ci sono adulti-anziani con il loro zainetto e il cartone per dormire, ci sono dei ragazzi che giocano a calcio. Uno di loro alla vista nostra scappa. Ci avviciniamo, il minore non arriva ai 10 anni, il maggiore non arriva ai 18. Sono una dozzina. Richiamano il ragazzo scappato dicendo che non sono il padre, gli assomiglio ma non sono lui. Torna. Gli chiedo come mai ha paura del padre, mi risponde che è scappato dalla comunità poco fa. Gli chiedo se in quelle condizioni sta meglio. Mi dice che non sopportava di essere controllato. Impressionante. Ha 12 anni. Lì con lui ci sono i suoi due fratelli maggiori, entrambi trasandati, trascinano la lingua alle 11 del mattino, lui un po’ meno, ma il quadro non ha niente di incoraggiante. Certe scene non si vedono nei film, farebbero troppo effetto.
Tornando commento ad alta voce l’impressione che mi hanno fatto i ragazzini, mi dicono che è più difficile recuperare uno di loro che un adulto. Pranziamo. Nel pomeriggio ho bisogno di andarmene a fare un giro da solo per la città a vedere un po’ le due cose che ci son da vedere e fotografare, a gustare un po’ le bellezze locali (devo dire che la media è sul medio-alto, adesso non voglio dire che le tarijeñe sono le più belle della Bolivia perchè a S. Cruz ci sono di quelli schianti…, però si può dire che ñ¡occhio è ben appagato).
Tarija, profondo sud boliviano, un sacco di gente che lavora in Argentina e vive qui, con doppia nazionalità. Una città piccola, a piedi sgasando la si percorre in un paio d’ore, senza particolari attrazioni turistiche. Ha la forma di un tappeto a cui si spingono contro i lati lunghi, è persorsa da gobbe, piccole sopraelevazioni, in senso longitudinale senza particolari dislivelli. L’attrazione principale di Tarija non è la città ma il vino (anche di buona qualità) che si produce sulle colline dei dintorni verdeggianti. Sembra una barzelletta per gli alcolisti che vivono qui. Che intanto mi raccontano le loro storie entrando fino al midollo di loro stessi, uno alla volta con una tranquillità che non vedevo da dieci anni nel mio mese a Pieve di Fissiraga, comunità di tossici.
Domenica mattina viaggio a Potosì via terra. Lasciando a malincuore questa bellissima famiglia allargata di quasi 70 persone.
bella lì… santa cruz for ever!!!! anche se avevamo ancora negli occhi quelle di La Paz!!!!! Ah ah!!!!
Di qui dall’oceano il derby col chichi è già stato giocato, teso, 1-1 ( ergo….. nè pa nè polenta!)
però kakkio, avevo il magone io a venire via, chissà tu!!!!!!!!
Buon rientro gringo!!!